CALENZANO E DINTORNI

Calenzano si trova tra Firenze (da cui dista circa 14 Km) e Prato (a circa 6 Km) e può essere raggiunta facilmente sia in auto (Autostrada A1, uscita casello Calenzano-Sesto Fiorentino; Autostrada A11, casello Prato Est), sia in treno (dalla stazione ferroviaria Firenze Santa Maria Novella si prosegue con le linee bus ATAF 2, dalla stazione ferroviaria di Prato si prosegue con la linea bus CAP CPC)

Il territorio

Calenzano in Val di Marina
Il territorio di Calenzano, per due terzi montuoso, è stretto fra la catena dei Monti della Calvana e Monte Morello, monti prevalentemente formati da rocce di origine calcarea che danno vita a fenomeni carsici (sono state esplorate e rilevate circa 43 grotte). Proprio queste caratteristiche geologiche hanno determinato, combinandosi con gli eventi storici, le forme con cui l’uomo, nel corso dei secoli, si è insediato sul territorio.
Le cime dei monti, infatti, si presentano brulle (ad eccezione delle aree in cui si è proceduto a rimboschimenti) e scarsamente popolate (a causa della scarsità d’acqua) e circondano una pianura alluvionale densamente popolata ed industrializzata, mentre tutto intorno le colline presentano il tipico paesaggio dei dintorni di Firenze, ricco di boschi ed oliveti che si estendono intorno ad antiche torri medievali e ville-fattoria, dove ancora oggi si producono olio e vino nel rispetto della classica tradizione dei colli fiorentini.
Numerose frazioni caratterizzano questo territorio, legato fin dall’antichità alle strade che lo attraversano risalendo dalla pianura alla montagna lungo le valli dei torrenti Marina (ad ovest) e Marinella di Legri (ad est). Il centro cittadino (conosciuto localmente come Donnini, dal nome di Torello Donnini, fabbricante di trecce di paglia che qui, all’inizio del Novecento, aveva aperto un laboratorio) si stende tra la collina di Calenzano (dominata dal castello) e quella di San Donato (su cui sorge un’antica pieve poi divenuta residenza medicea), lungo quella che anticamente era conosciuta come Via del Sale ed oggi è la Statale 36 Barberinese. Altre frazioni sono SettimelloTravalleLa ChiusaCarraiaLegriLe Croci di Calenzano, ciascuna delle quali presenta caratteri storico-ambientali peculiari.

Età classica

Calenzano sorge nella pianura che si estende intorno a Prato e Firenze, zona ricca di acque e perciò propizia agli insediamenti umani fin dalle epoche antiche, quando la Calvana era probabilmente terra d’incontro tra pastori liguri e popolazioni villanoviane che abitavano la piana fiorentina e le colline sovrastanti, come hanno dimostrato scavi archeologici nell’area dell’aeroporto di Peretola e nella zona del Neto tra Settimello e Sesto.
I primi insediamenti di una certa consistenza si devono agli Etruschi: il cippo etrusco di Settimello (VI-V secolo a.C.) e la statuetta in bronzo detta “dell’offerente” (480 a.C.) rappresentano le testimonianze più note dell’ormai avvenuta antropizzazione del territorio, coltivato a cereali con insediamenti sui rilievi (Artimino, Fiesole) e presso le rive dei fiumi (Gonfienti), dove si sviluppano centri commerciali legati alla viabilità fluviale e terrestre.
Più numerose (ed ancora evidenti nel paesaggio) sono le tracce degli insediamenti di epoca romana. La centuriazione dei campi (che si organizza in senso est-ovest essendo basata, nell’agro fiorentino, sul corso dell’Arno) risale al I sec. a.C, quando in questa parte del territorio si stabilirono i legionari di Cesare di ritorno dalla Gallia.
Dalla Val di Marina, presso l’attuale frazione “La Chiusa”, partiva l’acquedotto che gli ingegneri di Augusto e di Tiberio costruirono per rifornire d’acqua la vicina colonia di Florentia (I-II sec. d. C.). Numerose ville (Tra valle, Settimello) e mansiones dovevano punteggiare questa fertile pianura ai piedi delle colline, edifici signorili con terme, palestre ed opifici: tra le emergenze più importanti occorre ricordare una vasca di “cocciopesto”, destinata probabilmente alla tintura dei tessuti, rinvenuta a Travalle, e un ninfeo a forma pluriabsidata presso l’attuale chiesa di Settimello.

Età medievale

Il territorio di Calenzano nel Medioevo è territorio di confine: vicino alla linea di confine tra la diocesi fiorentina e quella pistoiese, fa parte delle proprietà dei conti Guidi di Modigliana, potente famiglia comitale di origine bizantina, che qui vengono in contatto con altre potenti casate: gli Alberti, signori di Prato e della val di Bisenzio, e gli Ubaldini che dominavano il Mugello. Famiglie che furono anche rivali nella rivendicazione dell’eredità marchionale di Ugo di Toscana e questa rivalità è di certo uno dei motivi del proliferare di antichi luoghi fortificati su entrambi i versanti della Calvana. Tra i secoli XII e XIII si trattava di un limite confinario di forte valenza politica in un’area che rappresentò anche -ed a lungo- uno dei confini più vicini alla stessa città di Firenze, che all’inizio del XIII secolo acquisisce il controllo del territorio, processo scandito da episodi come la distruzione del castello di Combiate, nel 1202, o la vendita del castello di Travalle alla Repubblica, nel 1225, da parte dei Tosinghi e dei Lamberteschi. Torri e castelli vedono così diminuire progressivamente la loro funzione prettamente strategico-militare, cui si associa ora quella demico-insediativa.
Nel corso del XIV secolo la valle ed il castello di Calenzano costituiscono, di fatto, la chiave di sbarramento alla piana alluvionale dell’Arno verso Firenze e riscoprono – spesso a loro danno – i rischi in termini militari di una posizione così importante da un punto di vista strategico. Calenzano ed il suo territorio subiscono infatti ingenti danni dalle incursioni di Castruccio Castracani, nel corso degli Anni Venti del secolo, dall’esercito visconteo guidato da Giovanni da Oleggio (1351) e dai mercenari inglesi guidati da Giovanni Acuto (1364).
Dalla fine del Trecento, le mutate condizioni politiche della repubblica fiorentina rendono ormai inutili le antiche fortificazioni che punteggiano il suo contado: le vecchie strutture militari vengono allora adeguate alle nuove esigenze di ricchi imprenditori fiorentini che già da un secolo avevano cominciato ad investire sul contado disseminandolo di case da signori e case da lavoratori determinando la nascita del caratteristico un paesaggio dei dintorni di Firenze, pesaggio che nel XV secolo Leonardo Bruni, Cancelliere della Repubblica Fiorentina, così descrive «Dopo le ville (…) sono le chastella, anzi, non è di quella regione, che circonda le ville, alcuna parte che non sia piena di splendidissime terre. Et la città è posta nel mezo di loro, come principale e domatrice di tutte»

Età moderna

Nel XVI secolo sul territorio di Calenzano si insediano le grandi famiglie fiorentine: Strozzi (Tra valle), Medici (San Donato), Ginori (Calenzano), Salviati (Collina), Cerretani (Volmiano) e Arrighetti (Macìa) prendono il posto delle antiche casate medievali.
Questa nuova aristocrazia basa sulla terra e sulla disponibilità economica il proprio potere.
In particolare i Medici ottengono alla metà del XV secolo la commenda della ricca pieve di San Donato e costruiscono accanto alla chiesa una splendida dimora che sarà residenza del giovanissimo Giovanni de’ Medici (papa dal 1513 col nome di Leone X) e, qualche anno più tardi, di Alessandro di Ottaviano de’ Medici (papa nel 1605 col nome di Leone XI).
Durante i secoli XVI e XVII, in una Toscana mal governata dagli ultimi Medici, colpita da una grave crisi economica e spopolata dalle epidemie di peste si vede ovunque (come scrive l’illuminista Gian Rinaldo Carli) “crescere la miseria e la povertà”.
Forse a Calenzano (stretta tra grandi centri urbani come Firenze e Prato) la situazione doveva essere migliore rispetto ad altre aree della Toscana: a Tra valle, ad esempio, le attività agricole richiamano braccianti, anche, dalle aree vicine tanto che la popolazione sale – da 103 a 204 abitanti – dal 1551 al 1745.
Dalla metà del XVIII secolo la riforma Leopoldina investe anche Calenzano. Le grandi ville-fattoria diventano il perno centrale della produzione agricola: per razionalizzare il lavoro, i principali opifici (frantoi, magazzini per il grano, mulini) sono accentrati ed anche il sistema viario è modificato in funzione della villa-fattoria verso cui converge tutta la vita della tenuta: le vie interne e di interesse locale sono ritenute: “quelle che più delle altre servono al transito delle cose” (Cesare Beccaria).
Il 25 marzo 1799 le truppe francesi di Napoleone Bonaparte occupano Firenze e Calenzano entra a far parte del Dipartimento dell’Arno (1808) e ne farà parte fino al 1814, quando il Granduca Ferdinando III tornerà dal suo esilio di Vienna per riprendere possesso del trono.

Fine Ottocento

Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo successivo, il territorio di Calenzano è caratterizzato dalla presenza di grandi ville-fattoria, che organizzano un mondo rurale che poggia le sue fondamento sulla mezzadria e sul reperimento di braccianti stagionali, a basso costo, provenienti dalle aree più povere della Toscana.
A Calenzano si producono cereali e si coltiva la vite da vino ed anche le poche attività industriali presenti – la lavorazione della paglia, della seta, le distillerie, le attività estrattive – traggono le materie prime o i capitali necessari al loro funzionamento dall’agricoltura.
In queste industrie la forza lavoro è reclutata, in gran parte, tra la popolazione locale (che, seppur in crescita dal 1885, rimase a lungo tra le più basse della Provincia di Firenze), ma grande è anche il numero di lavoratori stagionali (specie in concomitanza con il raccolto e gli altri appuntamenti del calendario agricolo), mentre già si segnala un forte pendolarismo verso Sesto Fiorentino e la manifattura di Doccia.
Per decenni le attività tipiche di Calenzano sono il fornaciaio e la trecciaiola.
Le fornaci più importanti sono di proprietà delle famiglie Levi-Mortera, Ginori e Morrocchi.
Di solito i fornaciai sono contadini che in inverno, quando il lavoro dei campi richiede cure meno assidue, arrotondano il loro magro salario lavorando nelle cave o alle fornaci in cui si produce principalmente calce.
La lavorazione della paglia, i famosi “cappelli di paglia di Firenze”, rappresenta l’altra possibilità da integrare il lavoro nei campi per i calenzanesi: a Settimello è conosciuto il laboratorio impiantato da Leopoldo Carmignani alla fine dell’Ottocento, ma altre manifatture sono diffuse su tutto il territorio e ad esse si associa il lavoro affidato a domicilio.
Il lavoro svolto viene, poi, raccolto dai fattorini, imprenditori che sul loro caratteristico barroccino caricano la paglia e la distribuiscono alle trecciaiole di professione o pigionali sparse sul territorio oppure alle case dei contadini.
Uno di questi fattorini fu Torello Donnini, il cui nome sopravvive nel capoluogo del paese.
Le istanze sociali di operai e contadini sono controllate dagli istituti di beneficenza e opere pie, espressione della “classe dirigente” locale composta da membri dell’antica nobiltà fiorentina presenti da secoli sul territorio (come i Venturi-Ginori) o da ricchi esponenti dell’imprenditoria cittadina (come i Bastoni).
In questo mondo dominato dall’agricoltura, dove i cambiamenti sono lenti e difficili, cominciano tuttavia nei primi anni del Novecento a manifestarsi i primi segnali di un cambiamento, segnali che si concretizzano negli anni precedenti allo scoppio della Grande Guerra nella nascita delle prime cooperative di operai a Settimello e San Donato, espressione di quei movimenti sia cattolici che socialisti più attenti alle esigenze ed alla difesa dei diritti dei ceti più deboli.

Primi Novecento

Anche a Calenzano la Grande Guerra porta dolore e lutti, come testimoniano in ogni frazione del nostro comune cippi e parchi delle rimembranze.
La guerra, tuttavia, provoca nella struttura sociale ed economica del paese grandi trasformazioni: con il potenziamento del comparto industriale fiorentino dovuto alle esigenze belliche (a Calenzano i prigionieri di guerra prussiani e austriaci sono utilizzati per costruire la strada verso Barberino necessaria ad aumentare la produzione di calce e cemento per la costruzione delle trincee al fronte), i calenzanesi hanno un’alternativa al lavoro agricolo, che comunque resta il principale settore di occupazione.
Anzi, il fascismo incoraggia l’attività nei campi: sono gli anni delle grandi feste legate alla raccolta del grano e dell’uva, delle fiere del bestiame in Piazza Vittorio Veneto e dell’allevamento di cavalli da corsa.
A Calenzano il fascismo erige anche gli edifici simbolo del suo potere: la stazione e la Casa del fascio. Poi, anche per gli ottomila abitanti del comune di Calenzano, arrivano gli anni della Seconda Guerra Mondiale: lo snodo ferroviario e la necessità di assicurare il funzionamento dei due cementifici rendono Calenzano un luogo di una certa importanza strategica.
Ciò rende il paese un obiettivo per i bombardieri alleati che a partire dal luglio 1943 cominciano a sganciare le loro bombe.
Nel novembre 1943 Calenzano viene occupata dall’esercito tedesco, che stabilisce a Villa Peragallo il proprio comando. Sui Monti della Calvana e su Monte Morello cominciano ad unirsi le prime formazioni partigiane: a Valibona si ha il primo scontro a fuoco tra un reparto fascista e un gruppo partigiano (2 gennaio 1944).
L’ultima delibera podestarile risale al 24 giugno 1944. Pochi mesi dopo gli americani liberano Calenzano (6 settembre) e da qui partono per dare l’assalto alla Linea Gotica (10 settembre): l’undici settembre 1944 si insedia la Giunta provvisoria presieduta dal sindaco Archimede Bessi e da don Rolando Biancalani, fiduciario del comando militare alleato.
I primi provvedimenti sono relativi alla distribuzione dei generi alimentari, degli alloggi agli sfollati. Si procede, poi, alla bonifica del territorio da ordigni esplosivi ed alla ricostruzione di ponti e strade.
Cominciano anche a Calenzano gli anni della Ricostruzione, il cui simbolo è, negli Anni Sessanta, l’Autostrada del Sole che attraversa da nord a sud il nostro territorio.